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Due firme rosa: amore, incanto e un po’ di giallo

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Mapuche-Lo-spirito-del-vulcano

 di Felice Laudadio jr.

Una interpreta i sentimenti dei lettori. Laltra continua a raccontare come una favola il suo Cile vintage, a colori pastello. Romanzi di donne e donne nei romanzi. Due firme rosa sulle copertine Reverdito. Pagine di poesia e di affetti. Amore materno, amore filiale. Anche un po’ di giallo. Karin Lisbeth Gelten-Lipari è cilena e se da più di trent’anni vive a Padova è sempre con lo spirito nella terra d’origine latino americana, venata di cultura india. “Mapuche. Lo spirito del vulcano” (334 pag. 13,80 euro) è una saga ampia, circolare, alla Isabel Allende, per restare al Cile. Un “Cien años de soledad” al femminile, per allargare lo sguardo al Sud America. Perché sono tutte donne le figure centrali. I maschi restano secondari. Sono caratteri senza identità o identità senza carattere. Scoloriti. Nulla a che vedere con la poesia e il bisogno d’amore di una Marfil, l’intensità e l’autorevolezza di Donna Amelia, la tensione amorevole di Estrella, la tata di casa ma anche curandera. E la delicatezza e di Dulcinea, che racconta per linea materna le vicende di famiglia, dalla nonna alla madre e a se stessa. Cile del Sud, fine ‘800, Araucanìa, terra del popolo Mapuche, la tribù locale. Una storia primordiale, fatata, di vita e di morte, di istinti e di sogni. Mitologia india. Donne possedute da spiriti sotto forma di uccelli multicolori. Incantesimi e antidoti con urina di cavalla gravida. Ceneri calde dei fuochi indigeni usate per combattere sortilegi. Infusi portentosi di erbe medicinali. E le stravaganze della nonna alla morte del marito. Rimasta vedova, per un anno aveva tenuto sempre con sé il cappello da ranchero. Ci passava le giornate. E ci conversava pure, in camera da letto e in sala da pranzo, dove faceva servire per due. Estrella assicura che qualche volta si sentisse addirittura la voce del padrone defunto, don Hugo.

Dall’aletta di copertina. Alla guida dell'estancia, una vedova nata da un surreale incontro, abbandonata in una casa di appuntamenti e salvata dal futuro marito. La figlia, segnata da un triste destino ma protetta fin da neonata da una bambinaia che pratica la magia del suo popolo, i Mapuche. La vita e l'amore della fanciulla raccontati dalla voce narrante della storia, nell'isolamento di luoghi sperduti. La solitudine porta la protagonista a declamare poesie per un amore immaginario in riva a uno specchio d'acqua, un lago incantato ai piedi di un imponente vulcano, il cui spirito prende vita per rapirla. In una catena di fatti inspiegabili si alternano credenze e magia sciamanica, sacro e profano, riti cristiani e pagani, tradizioni arcaiche che sopravvivono tuttora.

Loreta FailoniUna vena felice ispira Loreta Failoni. Scrive bene. Ha studiato psicologia e le emozioni della gente non hanno segreti per lei. Così il modo di sentire, di vivere. Ha una sensibilità spiccata, una marcia in più. Quando descrive momenti difficili per la protagonista, sembra di viverli. Al solo leggere di un’assenza improvvisa del piccolo Leonard, si correrebbe con lei a cercarlo. Al primo, commovente incontro col bambino, anche le corazze più dure rischiano di incrinarsi. Emily è francese e illustra libri per l’infanzia. Lars è un fotoreporter svedese inviato nei luoghi di guerra. Viene ucciso in Afghanistan. Le sue ceneri sono sparse in mare davanti alla casa, nell’isola di Gotland. Intanto, non potendo avere figli, ne avevano adottato uno. È affetto da mutismo selettivo, nasconde un grande dolore. Ora ha otto anni e sparisce, lasciando un vuoto nelle pagine e comunicando sensazioni di vera angoscia nella ricerca. “La voce della paura” è un giallo (edito da Reverdito, 368 pag. 13,50 euro), un thriller che conduce all’ombra terrificante dal nazismo e al fuoco divoratore scatenato contro gli ebrei, giunto fino ad oggi. Minacce, provocazioni. Qualcuno vuole cacciare la donna, sparano alla gomma anteriore dell’auto. Chi lo ha fatto viene trovato ucciso.

Dall’aletta di copertina. Un bambino di quattro anni cammina sulla E18, l'autostrada che conduce a Stoccolma. Le ricerche sulla sua identità non portano a nulla. Apparentemente sano, non parla e viene affidato a una coppia in lista di attesa. Il padre adottivo, giornalista del quotidiano "Svenska Dagbladet", è falciato in Afghanistan con alcuni colleghi. La moglie, sconvolta dal dolore, si rifugia a Gotland col piccolo. La pace dell'isola si trasforma in un incubo: l’anziano vicino di casa viene brutalmente aggredito e ridotto in fin di vita. Inspiegabilmente madre e figlio entrano nel mirino di qualcuno. Inizia così una ricerca, condotta da Emily con l'aiuto di tre amici e del commissario di polizia di Visby.


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